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Gli Equi

Il confine Ovest del territorio degli Equi, abitanti la valle dell’Aniene, doveva coincidere all’incirca con la direttrice dei torrenti Licenza e Giovenzano, che raggiungono il fiume da Nord e da Sud: in età romana infatti la villa di Orazio, presso l’odierna Licenza, si trovava già in Sabina (in Sabinis), il villaggio di Varia (Vicovaro) appare legato alla città latina di Tibur, mentre il piccolo municipio di Trebula Suffenas (presso Ciciliano) era di origine equa .

La topografia del territorio aniense degli Equi è stata indagata solo in parte e soprattutto per il settore sulla sponda Sud verso la valle del fiume Sacco: qui sono stati identificati tra i monti Ruffi (a Roviano, Bellegra, Roiate, Olevano) alcuni dei luoghi fortificati d’altura (gli oppida sui “summa iuga” citati da Livio), costituiti da una cinta muraria a blocchi, attivati durante l’avanzata verso i territori di Tibur e Praeneste nel Latium vetus.

Nell’alta valle succedevano a insediamenti equi i centri romani di Afilae (Affile) nei monti Affilani e Treba Augusta (Trevi nel Lazio) nei Simbruini. Non si conosce invece il nome dell’abitato cui spettava la necropoli di Casal Civitella a Rifreddo, il quale doveva trovarsi sul pendio subito a monte ove si rinvengono concentrazioni di frammenti di tegole.

Si ricava da varie testimonianze letterarie ed epigrafiche che l’organizzazione del territorio – come in genere per la Sabina e il Sannio – rimase anche in età romana di tipo paganico-vicano caratterizzata da un pagus, cioè un ambito territoriale di pertinenza di una comunità, che viveva in una fitta trama di nuclei abitativi di piccole dimensioni: fattorie e villaggi (vici). Un’esemplificazione, desunta dai carmi di Orazio, riguarda proprio la confinante zona sabina (pagi di Mandela e Ustica, vicus di Varia). Le attività produttive principali consistevano in agricoltura, limitato allevamento, caccia (dati desunti dallo studio degli scheletri della necropoli di Riofreddo).

Contrariamente ai siti arroccati, che furono abbandonati dopo la guerra di conquista, i santuari rurali mostrano continuità di vita fino in epoca imperiale: il fanum di Vacuna-Vittoria presso la villa di Orazio fu restaurato da Vespasiano, un santuario di Giove “della sommità” (Iuppiter Cacunus) noto da un’iscrizione era presso Orvinio, un altro a Treba. Nella Museo sono conservati alcuni oggetti votivi del IV-III sec. a. C. provenienti da una ricca stipe (materiali al Museo Nazionale di Chieti), scoperta nel 1950, presso Carsioli, relativa a un santuario forse già esistente prima della fondazione della colonia agli inizi del III sec. a. C.